Liberazione è un bellissimo titolo, perché allude non a una concezione statica della libertà, ma a un’idea di processo: il processo dell’essere umano che lotta per emanciparsi dal determinismo e avanzare verso la libertà. Proprio quella progressiva liberazione che costituisce la direzione della Storia.
Per noi Umanisti la libertà è essenzialmente libertà di scelta, è la possibilità di esercitare l’intenzionalità, che costituisce la caratteristica fondamentale dell’essere umano; una libertà che, per essere autentica e avere fondamento etico, deve essere universale, valere per tutti e non solo per alcuni. Tutto ciò che la reprime o la nega è riconducibile, in modo diretto o indiretto, alla violenza.
In modo molto simile, nella visione di Screpanti la libertà non è un concetto astratto ma si traduce concretamente nell’Ampliamento delle possibilità di scelta e dell’Autonomia personale. Entrambe le cose dipendono da un tipo di sistema sociale che può incentivarle o reprimerle.
Però, mentre l’ampliamento delle possibilità di scelta attiene alla dimensione sociale dell’esistenza (come miglioramento delle condizioni sociali, lavorative, democratiche), l’autonomia si presenta sotto un doppio aspetto, sia sociale che personale, in quanto possibilità oggettiva e capacità soggettiva di operare scelte autonome.
Ed ecco il secondo motivo per cui Liberazione è un titolo bellissimo: perché un processo di liberazione implica che ci sia un soggetto che si libera. Cioè, un soggetto che prende parte attivamente a quel processo e gli dà direzione. Quindi la soggettività non è vista come un elemento accessorio e trascurabile, se non addirittura di ostacolo, al processo rivoluzionario. Ciò che accade a ciascuna persona nella relazione con l’ambiente sociale in cui vive, e che ha bisogno di trasformare, passa in primo piano.
E chi è questo soggetto? Non certo un atomo isolato, infelice e senza scopo. È un essere che, per sua natura, è aperto al mondo e alla intersoggettività, che si costituisce nel mondo grazie alla relazione di scambio con l’ambiente storico-sociale, da cui è determinato ma che anche, a sua volta, egli determina e modifica.
Perchè la coscienza umana è attiva nella costruzione della realtà, non è un semplice riflesso di condizioni esistenti. E l’azione umana, trasformando il mondo, trasforma nello stesso tempo chi l’ha messa in atto, in un continuo processo di retroalimentazione. Si tratta di un’unica struttura soggetto-mondo, non di due termini separati che occasionalmente possono interagire.
Oggi, nonostante le condizioni sociali siano terribilmente opprimenti, la maggior parte delle persone non si ribella. Qualcosa lo impedisce. La risposta trasformatrice è debole e la tendenza è piuttosto quella di sopportare e adattarsi (adattamento infelice).
Per questo è molto apprezzabile il fatto che Ernesto Screpanti abbia dedicato più della metà del suo libro ad analizzare gli impedimenti psicologici (soggettivi) che ostacolano la ribellione degli oppressi, mostrando in che modo il contesto culturale e sociale sta condizionando le coscienze e suggerendo la maniera in cui sarebbe possibile attivare una nuova risposta rivoluzionaria.
Il passaggio chiave è quello dello svelamento: quando una persona si rende conto che la causa del suo scontento, o addirittura della sua sofferenza, non dipende dalle proprie scarse capacità individuali ma, piuttosto, dal sistema sociale e dagli anti-valori che lo configurano, e che inevitabilmente ha introiettato.
Questa presa di coscienza può provocare un senso di ribellione, ma perché questa ribellione si traduca in azione è importante:
1. che possa essere canalizzata verso un’immagine di futuro desiderabile e realizzabile
2. che l’azione sia condivisa da molti, all’interno di un “flusso sociale” che punti a modificare i fattori, sociali e valoriali, che generano oppressione e sofferenza.
Noi siamo sostanzialmente d’accordo con questa visione, ma aggiungiamo un altro elemento, che pensiamo sia decisivo per arrivare allo svelamento e per rendere più incisiva l’esperienza del flusso sociale: il lavoro su sé stessi.
Siamo convinti che per modificare il mondo intorno a noi sia necessario modificarlo anche dentro di noi e da sempre abbiamo lavorato per la trasformazione simultanea personale e sociale, dando lo stesso rilievo all’impegno per cambiare l’ambiente sociale e allo sforzo per riconoscere e trasformare i suoi correlati personali, cioè i valori, i modelli, la forma del pensiero che abbiamo assorbito e che hanno costruito il nostro mondo interno.
Se la coscienza e il mondo costituiscono un’unica struttura, è l’intera struttura quella che va rivoluzionata.
Pertanto, noi Umanisti abbiamo sempre affiancato l’azione sociale con il lavoro su noi stessi. Non parlo solo del PU, ma mi riferisco a tutto il Movimento Umanista, di cui il PU fa parte in quanto suo Organismo politico.
Negli anni ‘80 e fino ai primi anni ‘90 eravamo in una tappa di formazione dei “quadri” organizzativi, avevamo bisogno di persone molto consapevoli, che potessero successivamente prendere in mano l’espansione del Movimento e dei suoi Organismi. Va detto anche che il “Sistema” (per semplicità) era molto forte, aveva superato le scosse degli anni ‘70 e si era assestato, promuovendo uno stile di vita spensierato e consumista. Nonostante questo, molti giovani si avvicinavano alla nostra proposta di un cambiamento radicale. [inchiesta?]
Il lavoro su noi stessi era intenso e puntava a riconoscere e mettere in discussione alla radice gli aspetti del Sistema che avevamo introiettato. Era quasi un’opera di “demolizione” che avveniva attraverso un’Autoconoscenza approfondita.
In gruppo e con l’aiuto degli altri, ciascuno esaminava la propria scala di valori, i ruoli che assumeva nella relazione con gli altri, le situazioni in cui sentiva di subire o di esercitare violenza.
Vedeva anche in che modo tutto questo gli procurava disagio e sofferenza, o contrastava con i suoi ideali e i suoi obiettivi. Il Sistema si svelava nei suoi aspetti più subdoli e sempre si usciva da quei momenti di scoperta con un progetto di cambiamento, di modifica delle condotte personali, per ricomporre il proprio Sé in modo più coerente, meno frammentato tra quello che si pensava, si sentiva e si faceva.
Un elemento molto importante del lavoro era la pratica della coscienza di sé: uno stato di coscienza attento, per favorire l’auto-osservazione: l’Io che osserva se stesso mentre pensa, sente e agisce. Infatti, senza un adeguato livello di attenzione è molto difficile ottenere cambiamenti intenzionali significativi.
A tutto questo si affiancava la formazione ideologica e così si compiva lo svelamento, mentre, simultaneamente, si partecipava a un’attività molto intensa nel campo sociale, realizzata con grande entusiasmo e con una qualità davvero elevata delle relazioni interpersonali, cercando di vivere già nel presente ciò che si desiderava per il mondo futuro.
In sostanza, un formidabile flusso sociale, che permetteva vere e proprie conversioni (come quelle descritte nel libro): un cambiamento del modo di pensare e della visione di sé e del mondo, la modifica delle priorità, l’adesione profonda a un nuovo progetto di vita.
A metà anni ‘90 il Movimento Umanista entrava in una tappa di forte espansione, mentre la situazione psicosociale si faceva più complicata e instabile. Il Sistema mostrava apertamente il suo volto crudele (trionfa il Neoliberismo) e, nelle persone, l’adesione ai suoi valori e la fiducia nel futuro iniziava a vacillare. La gente cominciava a stare male, a sentirsi angosciata, anche se non comprendeva esattamente la ragione di questo malessere.
Internamente tutto stava crollando e quindi non era più necessario demolire niente, casomai era il momento di ricostruire. Quindi cambiava anche il tipo di lavoro da fare su sé stessi.
Era necessario “rendersi conto”, comprendere la relazione tra i propri stati d’animo e la situazione della società, vedere come tutto il costrutto sociale, culturale, economico, con i suoi valori decadenti e spietati, stava incidendo direttamente sulla vita concreta di ciascuno e contrastava con le sue aspirazioni e le sue speranze. Diventava molto importante sostenere le persone, alimentarne la forza, rigenerare il loro entusiamo verso l’immagine, oramai chiarissima e condivisa, ma che si avvertiva come irraggiungibile, di un cambiamento radicale.
Un lavoro particolarmente utile era lo studio del proprio Paesaggio di Formazione.
Siamo nati in un mondo formato da oggetti tangibili e oggetti intangibili (valori, motivazioni collettive, relazioni interpersonali, stratificazioni sociali, ciò che si doveva fare e ciò che non si doveva fare, gli ideali personali e di gruppo = un certo tipo di “sensibilità”). Tutto questo ha configurato quello che chiamiamo paesaggio di formazione, condiviso dalle persone della stessa generazione.
A causa dell’accelerazione storica, quel paesaggio oggi non esiste più; ma continua a operare in noi e condiziona il nostro comportamento, le nostre attribuzioni di valore, ciò che ci piace e ciò che non ci piace, le modalità con cui ottenere i nostri scopi, ecc.
In un mondo che cambia a velocità vertiginosa, è necessario un attento lavoro di auto-osservazione per evitare che il trascinamento della sensibilità di un’epoca passata renda incapaci di comprendere il presente e di agire in modo efficace nel paesaggio attuale. E questo è importante soprattutto se si aspira a creare un movimento di massa (inter-generazionale).
In questo momento, la situazione che negli anni ‘90 cominciava a profilarsi è divenuta molto più grave e quasi tutti, ormai, sono convinti che sia necessario un grande cambiamento. Il problema è che pochissimi lo credono possibile.
Lo scollamento tra generazioni cresciute con paesaggi diversissimi e la destrutturazione sociale, che ci fa sentire deboli e isolati gli uni dagli altri e sta rompendo tutti i legami di solidarietà tra gruppi umani che un tempo erano coesi, rendono difficile anche solo immaginare la nascita di un grande movimento di massa.
A questo si aggiunge un senso di amara disillusione, figlia di questa tappa storica di declino della civiltà; disillusione che ormai ha preso possesso delle coscienze di molti, ma soprattutto di chi, in passato, ha sperato nella rivoluzione.
Ma proprio per questo la nascita di un nuovo flusso sociale che punti a un cambiamento radicale è più che mai necessaria.
È importante che abbia una forma organizzativa adatta ai tempi, e questo libro presenta una proposta interessante.
Inoltre, poiché i sistemi complessi di idee non fanno più presa né, tantomeno, muovono all’azione, è importante che si possa contare su un’immagine semplice, sintetica e realizzabile di futuro, verso cui convergere, e Libertalia lo è.
È anche importante sostenere il flusso, aiutando chi vi partecipa a superare gli ostacoli interiori che il momento storico impone. Serve accrescere la forza interna e la fede nella vita; esercitare l’attenzione e l’auto-osservazione, per rendersi conto della relazione tra la sfera personale e quella sociale; prendere contatto con la parte migliore e più profonda di sé stessi; e serve costruire un nuovo senso di comunità, rinnovando, nelle relazioni, l’affetto e la comprensione dimenticati.
Certamente noi Umanisti siamo pronti a mettere la nostra esperienza al servizio di questo progetto.